Conosciuto come “cynara” ai tempi degli antichi romani, fu citato da Plinio il Vecchio e da Apicio in importanti trattati storici, a testimoniare l’uso del carciofo, certamente selvatico, in epoche passate. Diverrà oggetto di coltivazione nel XV sec., con significativi miglioramenti colturali, consacrandosi definitivamente agli inizi del ‘900 con un significativo ampliamento delle coltivazioni. Attualmente si producono più di novanta varietà di carciofi distinte in due grandi gruppi: gli “spinosi” e gli “inermi” (senza spine). Le principali tipologie di carciofo diffuse a livello nazionale sono: il “romanesco”, lo “spinoso sardo”, il “catanese” e il “violetto di toscana”.
Il “romanesco” è la varietà di carciofo tipica della regione laziale, quella utilizzata per tutti i piatti più importanti della tradizione romana: “carciofi alla romana”, “carciofi alla giudia”, “coratella di abbacchio con carciofi”, “vignarola”. Chiamato anche “mammola”, ha la caratteristica di essere un carciofo senza spine, dalla forma piatta e tondeggiante, molto morbido e tenero, ideale da friggere. Il carciofo romanesco è stato il primo prodotto agricolo romano ad essere tutelato a livello comunitario con la designazione di Indicazione Geografica Protetta (IGP). Le due cultivar privilegiate di carciofo romanesco sono la “castellammare”, con capolini medio grandi molto morbidi e di produzione precoce (febbraio), e la varietà “campagnano”, con capolini estremamente grandi e saporiti e di produzione tardiva (marzo/aprile).